MORTAIO E PESTELLO
Analizziamo ora uno degli strumenti più importanti della cultura ligure: il mortaio e il pestello.
Etimologia
mortàio (ant. mortaro) s. m. [lat. mortarium, da cui derivano gli altri per somiglianza di forma].
Recipiente di metallo, pietra dura, marmo, legno, vetro, porcellana, usato in cucina, in farmacia e nei laboratorî chimici, nel quale si tritano, mediante un pestello, azionato a mano o anche con dispositivi meccanici, sostanze che si vogliono ridurre in polvere o in poltiglia.
Fig.: "pestare l’acqua nel mortaio", fare opera inutile, affaticarsi senza profitto (soprattutto volendo insegnare, persuadere, consigliare e sim.); "ogni mortaio trova il suo pestello", modo proverbiale che si ripete talvolta (con senso equivoco) sentendo dire d’una donna brutta che è riuscita a trovar marito.
pestèllo s. m. [lat. pistĭllus e pistĭllum, der. di pĭstus, part. pass. di pinsĕre (v. pestare)]. – Arnese a mano, di dimensioni varie, a forma di bastone o piccola clava con la testa battente arrotondata o appiattita, che serve per frantumare, ridurre in polvere o in poltiglia materiali vari generalmente collocati in un recipiente robusto di sostanza dura (mortaio): p. di legno, di ferro; p. per tritare il sale grosso, i colori, ecc.; p. di vetro, o di porcellana, per manipolazioni chimiche. Anche, organo di un apparato meccanico costituito da un’asta prismatica o cilindrica scorrevole verticalmente entro guide, con in basso la testa battente, di ghisa o di legno duro; è mossa da un motore ad aria compressa (p. pneumatico) o da un dispositivo ad eccentrico (come accade nei mulini a pestelli). Fig.: per similitudine scherz., il membro virile: s’ella non ci presterà il mortaio, io non presterò a lei il pestello (Boccaccio).



Storia
Utensile da cucina e da farmacia, quasi sempre di bronzo, pietra dura (per es., porfido) o marmo, più raramente in vetro o porcellana, nel quale si tritano, mediante un pestello, azionato a mano o anche con dispositivi meccanici, sostanze che si vogliono ridurre in polvere o in poltiglia.
I più antichi mortai conosciuti hanno forme grevi e tozze a sezione circolare (talvolta all'esterno poligonale) con anse a testa di leone o a bucranio (decorazione a forma di teschio di bue usato spesso nell'arte greca e romana), con decorazione incisa o a forte rilievo sbalzato o fuso, arricchita in alcuni esemplari più tardi da ageminature d'argento o di rame; provengono dall'Egitto o dall'Asia, specialmente dall'Iran: sono generalmente non posteriori al secolo XIII e fornirono certamente i modelli ai primi mortai occidentali.
In Occidente dovettero essere d'uso frequente nel Medioevo, come appare dalle numerose menzioni in inventari e in testamenti. Essi appaiono nell'arte gotica specialmente settentrionale dei secoli XIV e XV, che adoperò per i mortai anche l'ottone (fonditori olandesi e fiamminghi continuarono a produrne fino al sec. XVIII) e che raggiunse specialmente nel bronzo una notevole bellezza di forme (mortaio del 1308 al museo di York). Nella prima metà del '400 sono frequenti i mortai tedeschi, fusi spesso in bronzo da campane e decorati di immagini sacre, per lo più di forme snelle, cilindriche o a tronco di cono rovesciato con anse schiacciate. Anche in Italia appaiono forme semplici ma vigorose, a spigoli vivi. Il Rinascimento italiano produsse in gran quantità mortai di bronzo, anche con dorature, specialmente a Firenze, a Padova e più tardi a Venezia; predilesse le forme a tronco di cono o a campana rovesciata, quella cilindrica e più tardi anche quella a vaso (anfora o cratere) con anse talvolta a foggia di delfini. La decorazione dei mortai italiani di quest'epoca si stende in rilievo sull'esterno ed è per lo più derivata dai tipi scultori: l'influsso donatelliano è manifesto nei motivi (ad es., fregi di putti con festoni o fregi d'acanto) che si ripetono di frequente alternandosi con figure di animali, o stemmi, e che perdurano fino al sec. XVII; assai spesso i motivi ripetono quelli delle placchette contemporanee o sono desunti da incisioni: la decorazione, rude ed espressiva nel sec. XV, si fa sempre più elegante nel successivo. A questa produzione dovettero attendere per lo più fonditori di campane e di cannoni: ne conosciamo alcuni nomi che appaiono sugli stessi mortai: Guiduccio di Francesco da Fabriano (1468), Giuliano della Nave fiorentino (1480-94), Antonio de Viteni, Guglielmo de' Monaldi (1502), Giuliano di Mariotto fiorentino (1505-1557), Crescimbene di Perugia (1540), Stefano Parari, Antonio Maria de Maria, Bartolomeo de' Pesenti veronese, Giulio Alberghetti, ecc. Nei secoli XVI e XVII è abbondante la produzione di mortai artistici in Inghilterra, in Francia, in Spagna, nelle Fiandre, in Olanda e anche nei paesi tedeschi, specie nella Germania del sud, a forma di bicchiere o cilindrici con rilievi desunti da placchette: fra gli artisti che vi attesero è da rammentare soprattutto la famiglia degli Enndorfer di Innsbruck. Mortai di bronzo si trovano in genere in tutte le collezioni di bronzi artistici: notevoli soprattutto le serie delle raccolte Dreyfus e Figdor, oggi disperse.
In the Kitchen
Può essere utilizzato per vari scopi: trova una sua comune applicazione in cucina, per la preparazione di alimenti come il pesto, il guacamole o per sminuzzare erbe, spezie e per ridurre in polvere il sale. Utensili simili al mortaio per funzione, sebbene talvolta differenti per forma, possono essere rinvenuti praticamente presso tutti i popoli del mondo, utilizzati per sminuzzare gli ingredienti durante la preparazione del cibo. Ad esempio, molte popolazioni di nativi americani sono soliti ricavare mortai da rocce naturalmente concave, dove riducono in polvere ghiande, noci o chicchi di granturco. Nel sud est asiatico e in India questi utensili sono solitamente realizzati in granito, mentre in Giappone, accanto a mortai di taglia media simili a quelli occidentali e chiamati “suribachi”, è tradizionale l'utilizzo di un recipiente di grandi dimensioni, l'"usu", nel quale viene pestato il riso con un martello ("kine") ad ottenere una pasta dolce chiamata “mochi”. Uno strumento tradizionale messicano, il “molcajete”, è realizzato in basalto e utilizzato per la triturazione del mais per la produzione di piatti quali le tortillas o i tamales.
Il mortaio: testimone della tradizione (di Sergio Rossi)
In ogni casa ligure non può mancare il mortaio di marmo col pestello di legno: fa parte del corredo familiare e molto spesso è stato affidato dai vecchi alle generazioni successive.
Per un ligure il mortaio non è solo l’utensile prediletto per fare il pesto, ma un oggetto dal forte valore simbolico, quasi il testimone eloquente del sapere culinario delle generazioni precedenti. Fra i tanti utensili che hanno accompagnato la storia del cibo, il mortaio è uno dei più rappresentativi. Necessario per frangere, battere e ridurre in poltiglia qualunque prodotto alimentare, l’utensile in sé riconduce immediatamente alla preparazione di salse e savori, cioè agli innumerevoli condimenti di accompagnamento alle pietanze, tanto popolari in epoca medievale e rinascimentale.
Un autorevole conferma in tal senso viene dal Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) che alla voce “mortaio” riporta la seguente definizione: "vaso di pietra, nel quale, per lo più, si pesta le materie, per far la salsa, e’l savore". Inoltre segnala, dal Decamerone di Boccaccio (metà del XIV secolo), una interessante citazione a supporto di quanto affermato: “e mandolla pregando, che le piacesse di prestargli il mortaio suo della pietra, ec. che egli voleva far della salsa” (nov. 72. 13).
Doveroso rilevare che sotto i colpi del pestello non si frangevano solo ingredienti per far salse ma ogni altra materia alimentare necessaria alla preparazione di moltissime ricette, dai ripieni per i classici tortelli medievali, fino ai dolci.
I grandi cuochi del passato, autori di trattati gastronomici e ricettari, spesso hanno suggerito quali utensili fossero indispensabili in una cucina attrezzata a dovere, e uno o più mortai, di dimensioni differenti, erano sempre presenti.
Bartolomeo Scappi, forse il più illustre cuoco rinascimentale, nel suo trattato Opera, dell’arte del cucinare (Venezia, 1570), raccomanda che in cucina "sia posta una meza colonna di pietra fissa in piedi per potervi in un bisogno ponere il mortaro grande, cioè uno fra quelli presenti in cucina". Infatti, nell’elenco delle masserizie inserisce "mortari di marmo, e d’altre pietre con lor pestoni di legno sodo, non mancando di specificare che quelli di bronzo grandi e piccioli con li lor pestoni [servono] per pestare spetiere (spezie)". Il mortaio di marmo liscio è considerato il migliore, perché non è poroso come altre pietre; e anche per il pestello ci sono specifiche prescrizioni legate al legno da usare, o meglio, da non usare. Se il noce non è indicato poiché cede un sapore amaro, il pero e l’ulivo, per esempio, sono entrambi ottimi.
Appurato che il mortaio di marmo già secoli addietro era indicato per usi specifici, e considerando che ancora oggi quello che in Liguria utilizziamo per fare il pesto è quasi sempre di marmo bianco di Carrara, occorre chiarire che non tutti hanno la medesima forma pur conservando dettagli comuni, come le classiche “orecchie”.
Le tipologie più diffuse sono quattro: genovese, marsigliese, toscano e, in misura minore, bergamasco. Le differenze fra i primi tre sono minime, seppur evidenti: il genovese è più aperto e svasato, il marsigliese più chiuso e quasi a forma di tulipano, il toscano piuttosto arrotondato. Il bergamasco è distinguibile facilmente poiché dotato di una base a piedistallo che lo caratterizza. Anche il pestello non ha una sola forma e la distinzione più netta si rileva fra i modelli a una testa e quelli a due. Oggi quasi tutti ne hanno una, mentre in passato erano assai diffusi quelli a doppia testa, probabilmente per un uso differente delle due estremità. Dettagli tecnici a parte, rimane il forte legame che ciascun ligure ha con il mortaio di famiglia, anche se in qualche caso, decenni addietro, non era raro vedere vecchi mortai retrocessi al ruolo di abbeveratoi per le galline. Da qualche anno, però, c’è un forte ritorno del mortaio e dell’uso familiare di preparare il pesto a colpi di pestello. Fa parte del costume odierno ed è un modo pratico e agevole per comprendere l’essenza di uno fra i più antichi utensili da cucina e il sapore originale di una salsa che ci distingue nel mondo.
NOTE
* Giovanni Boccaccio (Certaldo o forse Firenze, giugno o luglio 1313 – Certaldo, 21 dicembre 1375) è stato uno scrittore e poeta italiano.
Conosciuto anche come "il Certaldese", fu una delle figure più importanti nel panorama letterario europeo del XIV secolo. Alcuni studiosi (tra i quali Vittore Branca) lo definiscono come il maggior prosatore europeo del suo tempo, uno scrittore versatile che amalgamò tendenze e generi letterari diversi facendoli confluire in opere originali, grazie a un'attività creativa esercitata all'insegna dello sperimentalismo.
La sua opera più celebre è il Decameron, raccolta di novelle che nei secoli successivi fu elemento determinante per la tradizione letteraria italiana, soprattutto dopo che nel XVI secolo Pietro Bembo elevò lo stile boccacciano a modello della prosa italiana.
L'influenza delle opere di Boccaccio non si limitò al panorama culturale italiano ma si estese al resto dell'Europa, esercitando influsso su autori come Geoffrey Chaucer, figura chiave della letteratura inglese, o più tardi su Miguel de Cervantes, Lope de Vega e il teatro classico spagnolo.
** Sergio Rossi, cultore di storia della cucina e dell'alimentazione in Liguria, è stato direttore del Conservatorio delle Cucine Mediterranee di Genova; scrive di gastronomia ed è autore del sito internet www.civiltaforchetta.it . È ideatore e curatore dell'Archivio per la storia del cibo Giovanni Rebora; L'ultimo suo libro è Alle radici del Pesto genovese: storia, curiosità, ricette (Nova Scripta, 2008).